mercoledì 29 luglio 2009

HOBBY

Perché o per chi, su ilmiolibro.it, si pubblicano tanti libri in così poche copie?
Non c’è più l’alloro, o la gloria, che giustifichi il fatto che tante persone vogliano esprimere la loro opinione o i loro sentimenti. Dobbiamo pertanto ipotizzare che questi cari e aulici parametri siano caduti per far posto ad una più ampia gamma di dèi minori, e, a tal fine, propongo una riflessione sugli HOBBY, in una ricerca che non è sistematica, come quella di un filosofo, ma casuale e sperimentale, legata al variare delle condizioni di vita e al rinnovarsi delle opinioni, essendo queste tese a risolvere problemi, più che ad esprimere suggestioni metafisiche

HOBBY (… e costruzione dell’identità)
Laurence Sterne: “lascia che ognuno corra su e giù per la città a cavallo dei propri pallini, purché non ci costringa a cavalcare con lui”
Hobby è, in inglese, il bastone che i bambini trasformano, con la loro immaginazione, in cavallino; nella natura dell’uomo, trasformare, dare sempre nuove forme a se stesso e al mondo che lo circonda, è forse ciò che più dà senso alla vita, che sorge dal basso e tende a portare le cose più umili a valori non apparenti a prima vista, come nello scolpire una pietra o nel modellare la creta.
La vita, in tutte le sue forme, è trasformazione della materia, che deriva dal latino mater, e l’uomo è faber di questo processo: il suo problema fondamentale è la costruzione dell’identità, che, come osserva Bauman, “è guidata dalla logica della razionalità finale (scoprire quanto sono attraenti gli obiettivi raggiungibili con i mezzi dati) … un lavoro da bricoleur, che crea ogni sorta di cose col materiale a disposizione ..”: scrivere, dipingere, suonare non importa cosa, per stimolare un’azione o fomentare una speranza, è come voler aprire un fertile discorso pubblico su conoscenza, etica o religione.
Questo libro (Il Ricambio delle Opinioni) è stato scritto per hobby, senza alcuna pretesa d’Arte o Scienza, che possa in qualche modo vincolare il giudizio di lettori più o meno specializzati, dando quindi ad ogni opinione il valore di un voto tra milioni di votanti. Se però tutti potessero esprimere la propria opinione amatoriale su ogni problema, n’avremmo la soluzione statistica, mentre oggi, i problemi, si usa porli, ed eluderli, sul piano accademico/metafisico. Un "hobby" si svolge fuori e contro la legge del dio-mercato: strigliare il proprio cavallo, coltivare il proprio orto, assistere animali abbandonati, aiutare i bambini e gli anziani, purché vi si trovi il gusto della libertà, come in un lento tornare alla coscienza di desideri rimossi, esprime licenza nel porsi in relazione con gli altri. Fare una cosa qualsiasi ha sempre un senso, se l’azione è svincolata dal potere oscuro di una presunta forza estranea superiore, se siamo noi a porre le regole, con fantasia e un po’ d’ironia. Provate a plasmare con l’argilla il volto Don Chisciotte: non ne verrà fuori un capolavoro, ma, almeno, sarà la vostra libera interpretazione di un carattere, una creazione del vostro autonomo modo d’essere e di realizzarci, una piccola ciambella di libertà, da indossare per non affogare nel mare delle necessità quotidiane, mentre, nel lavoro, è raro che si possa far valere un’opinione propria, e vi conta il risultato, che dipende in gran parte da condizioni esterne.
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In effetti, la “gioia del nonsenso” ha il fine di liberare la vita dalla monotonia e il lavoro dall’ossessione del “ciclopico”, come quella del monoftalmo Ciclope, che s’intendeva solo delle sue pecore. Proprio perché, nel lavoro, manca il piacere ludico di fare qualcosa, per sé o per gli altri, cerchiamo scampo in un hobby, che, rispetto ad un’impresa impegnativa, è un “ nonsenso “, ma fa da leva all'autonomia repressa o ne avvia una nuova. L’inclinazione a coltivare un hobby rivela quindi apertura alla tolleranza e alla comprensione reciproca, tanto che, se alcune donne portassero il velo per hobby e non perché costrettevi da religione o da padri e mariti, il mondo andrebbe meglio.
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Del lavoro a pezzi (boulot in francese o job in inglese), aumenta la produttività, ma diminuisce la capacità di coordinarsi con altre attività e con altri vitali valori sociali; talvolta appare inutile o si avverte la dannosità del suo stesso prodotto (una mina, una macchina difettosa o l'esecuzione di una legge ingiusta), fino a porci il dilemma: la coscienza o il lavoro?
Insomma, avere o procurarsi un hobby fa parte della “cultura della individualizzazione” ed esprime, in una persona, un’esigenza di pluralità delle attività, purché non assuma carattere monistico e totalizzante: guai a prendere un hobby troppo sul serio, tracciando confini artificiali a false identità!
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Anche per i Greci era spregevole il lavoro fatto senza amore, come quello del “teta”, salariato per lavori agricoli e retribuito miseramente; non il lavoro agricolo in sé, svolto con passione, poiché “per l’uomo dabbene non c’é arte né lavoro superiore all’agricoltura, dalla quale traggono i mezzi per vivere” (Senofonte). Esiodo (Opere) affermava che “nessun lavoro è vergogna; l’inerzia, invece, è vergogna” e Socrate arrivò ad esaltare il lavoro anche quando “banausico”. Il piacere del lavoro, quell’impulso gioioso col quale gli uccelli fanno il nido o i gatti cacciano i topi, dopo essere stato svuotato di fantasia dall’etica protestante, ritorna dunque alla coscienza come arte o come hobby, due tentativi di eliminare l’artificiosità implicita nella divisione del lavoro, di uniformare nelle proprie mani e nella propria mente ciò che le macchine hanno spezzettato ed alienato.
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Se lo sviluppo tecnologico ha indotto disoccupazione e, per mitigarla, si riduce l'orario di lavoro, come evitare che il crescente tempo libero sbocchi in noia mortale? Forse, hobbies svincolati dal compito di dover portare a casa il pane quotidiano, esprimeranno, senza remore, i caratteri degli individui e le culture dei popoli. Siano essi la politica, la scultura, la filosofia o il gioco del tennis, saranno scelte spontanee e "flessibili". Come "dèi minori", che Voltaire così ricordava: “Come mai, fra tanti dèi e tante teogonie differenti, e tanti culti particolari, non ci fu mai guerra di religione fra i popoli così detti "idolatri"? … ogni popolo, riconoscendo per parte sua numerosi dèi inferiori, non trovava niente in contrario che i suoi vicini avessero i loro.”
Decine di hobbies aspirano all'eredità di varî benigni dèi minori, con garanzia di innocuità e di utilità pratica, come il farci conoscere l'un l'altro, quali siamo nella nostra spontaneità, o il farci agire come vogliamo, senza imposizioni esterne, con immaginazione, voglia di creare e reciproca tolleranza. Anche senza la reviviscenza di un dio Peto o di un dio Stercutius, che pure meriterebbe l'attenzione degli ecologisti, o della dea Rumina, patrona delle mammelle, che trova sempre cultori, questi dèi favoriscono conoscenza e libertà, mentre quelli "superiori" ci dividono in sfruttati e sfruttatori o fedeli e infedeli.
Attenzione, però, a non promuovere questi dèi inferiori a “superiori”!

2 commenti:

  1. egregio dr. Crescimanno, è un vero piacere leggere la sua prosa arguta... continui così!

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